
GS-441514 rappresenta una nuova frontiera nella lotta contro la peritonite infettiva felina (FIP). Esiste una cura, ma nessuno ne parla: né i giornali, né coloro che hanno un ruolo politico per accelerare l'iter di autorizzazione ministeriale, né i veterinari che trovano più conveniente lucrare su esami e ricoveri inutili. Benché consapevoli dell'efficacia della cura, non possono applicarla perché sostanzialmente fuori legge. La cura è identificata con il numero GS-441524 ed è un antivirale senza alcuna controindicazione, che dal 2015 salva la vita di numerosi gatti affetti da FIP, una mutazione del coronavirus felino con effetti letali e devastanti alla sua comparsa.
Nonostante il farmaco abbia dato ottimi risultati, la decisione sulla sua commercializzazione spetta alle società farmaceutiche veterinarie, le quali sono responsabili della sua distribuzione. In realtà, si assiste a una grande crescita del mercato nero di GS-441524, noto come Mutian. Questo fenomeno, precedentemente riscontrato solo in Cina, ora è diffuso anche in Europa. GS-441524 non è semplicemente un numero, ma una certezza di sopravvivenza che molti, troppi interessi, preferiscono celare. Chi ama gli animali sa cosa significhi rimanere impotenti sapendo che esiste una cura che non può utilizzare, sia per i costi elevati accessibili solo tramite siti stranieri, sia perché materialmente non è reperibile. È una battaglia di civiltà, un'ingiustizia che va rimossa per il benessere dei nostri compagni di vita, i nostri fratelli minori.
In prima linea in questa battaglia ci sono le associazioni animaliste e i volontari, che grazie alla rete e alla diffusione di post testimoniano la guarigione di numerosi gatti. Grazie al loro impegno, molti proprietari disperati hanno potuto iniziare il trattamento e salvare la vita dei loro animali, dichiarati spacciati dai loro veterinari. Questa è la testimonianza di una battaglia vinta, avvenuta qualche anno fa, precisamente a novembre del 2022, grazie all'aiuto dell'Associazione Sfigatte di Torino e alla sua rete di volontari. Un riconoscimento speciale va a Patrizia Frattuarolo, che mi ha sostenuto e aiutato lungo questo percorso e che oggi voglio condividere con tutti voi. Intanto, iniziamo a conoscere la FIP.
Perché si parla della FIP?
Negli ultimi decenni, la vita degli animali e degli esseri umani ha subito effetti devastanti a causa di malattie originate da coronavirus. Si pensi alla SARS, alla MERS e, più recentemente, alla malattia da coronavirus 2019. Come gli esseri umani, anche i gatti (Felis catus) convivono con le infezioni da coronavirus. La peritonite infettiva felina (FIP) è una malattia associata alla mutazione di un coronavirus e rappresenta una delle malattie infettive più importanti e letali per il gatto, a causa delle difficoltà diagnostiche e dei diversi sintomi con cui si presenta. L'unica diagnosi certa è l'autopsia.
Circa l'80% dei gatti nel mondo sono infetti da FCoV (coronavirus) e sono asintomatici. Alcuni sviluppano sintomi, che possono variare da lievi a gravi. Il meccanismo di replicazione virale, che porta all'immunità in molti gatti e alla malattia in pochi altri, non è ancora completamente noto. La malattia viene riscontrata soprattutto nei gatti giovani (dai 3 mesi ai 2 anni), maschi e in ambienti multigatto o in particolari linee familiari. Possono manifestarsi sintomi delle vie aeree superiori, sebbene di solito transitori, mentre più comunemente causa diarrea o vomito clinicamente lievi. Nei gatti infettati in età neonatale, può verificarsi una diminuzione dell'accrescimento. Raramente, questi sintomi possono diventare cronici, il che dipende dalla misura in cui il sistema immunitario agisce e determina la forma che assumerà l'infezione da FIP.
La malattia può svilupparsi in poche settimane o anche due anni dopo che si è verificata la mutazione. I segni clinici sono variabili, poiché possono essere coinvolti molti organi, come fegato, reni, pancreas, occhi e sistema nervoso centrale. Di conseguenza, la FIP dovrebbe essere inserita nell'elenco delle diagnosi differenziali in tutti i gatti con segni clinici come perdita di peso o febbre di origine sconosciuta, di natura ricorrente o resistente al trattamento antibiotico.
Sono state identificate tre diverse forme di FIP:
Umida (effusiva), caratterizzata da una peritonite fibrinosa, pleurite o pericardite con versamenti rispettivamente nell'addome.
Secca (non effusiva), che non presenta versamenti evidenti e colpisce il sistema nervoso centrale e il midollo spinale. Il segno clinico più comune è la perdita del controllo muscolare, il disorientamento e le convulsioni. Inoltre, si possono osservare incoordinazione, inclinazione della testa, tremori intenzionali, cambiamenti comportamentali e alterazioni dei nervi cranici. Se sono coinvolti i nervi cranici, possono essere presenti deficit visivi.
Mista, che rappresenta l'evoluzione della forma umida o ne è la conseguenza negli stadi terminali della malattia, quando il sistema immunitario collassa.
Attualmente, lo sviluppo della FIP non può essere né previsto né prevenuto, quindi l'obiettivo principale dovrebbe essere la prevenzione dell'infezione da FCoV, per evitare lo sviluppo di questa grave malattia o, nel peggiore dei casi, l'evoluzione della stessa (salto di specie).
Ci sono voluti cinquant'anni di ricerca, svolti soprattutto dal dottor Neil Pedersen, che hanno portato a diversi antivirali efficaci, ma molti di questi non sono disponibili per l'uso pratico. Due farmaci molto recenti offrono grandi speranze per la cura di questa fatale malattia: un inibitore della proteasi (GC376) e, soprattutto, un analogo nucleosidico (GS441524). Entrambi si basano su farmaci attualmente utilizzati per trattare malattie umane comuni come l'epatite C e l'HIV/AIDS e sono sottoposti a test per infezioni come MERS, SARS ed Ebola. Il primo (GC376) si è dimostrato efficace solo nei gatti con FIP umida e solo se avevano più di 18 settimane di vita, mentre GS441524 ha un tasso di guarigione del 96%, indipendentemente dalla forma clinica ed età.
Come già detto, non si conoscono le cause della comparsa della FIP, ma in passato sono state studiate tre ipotesi:
Il coronavirus ha fatto un salto di specie nei gatti nell'ultimo mezzo secolo. Il virus che causa la FIP è strettamente correlato al virus TGE dei suini e al coronavirus canino (CCV), sebbene siano geneticamente differenti.
Il virus della FIP potrebbe essere una variante del coronavirus enterico felino (FECV). Questa variante potrebbe derivare dalla mutazione intra- e inter-specie dei coronavirus FcoV.
La comparsa della FIP dipende dall'enorme cambiamento nella relazione tra uomo e gatto avvenuto dopo la seconda guerra mondiale, con la crescita esponenziale di allevamenti di razza e adozioni dai gattili. Il gatto, da animale solitario, ha iniziato a vivere in gruppo come animale da compagnia. Tutti gli studi svolti fino ad oggi convergono verso questa seconda ipotesi.
Purtroppo, negli ultimi anni, anche in Italia, la prevalenza della FIP è aumentata. Il FCoV è stato riscontrato in gatti con una sieroprevalenza compresa tra il 39% e l'82%, indicando una circolazione attiva del virus nel nostro paese. Uno studio del 2020 ha esaminato le diverse varianti attualmente in circolazione in Italia, individuandone 106 in base alla variabilità della sequenza del gene S. I gatti risultati positivi presentano un'infezione del sierotipo di FCoV. Le numerose varianti appartengono a cluster diversi che circolano contemporaneamente, dimostrando l'elevata variabilità genetica della proteina S. Dai risultati di questo studio emerge che ci sono province italiane in cui si concentrano le stesse varianti, dalle quali la diffusione si allarga. Questo fa ipotizzare l'esistenza di aree geografiche in cui il virus si concentra. Ad esempio, Milano e Pavia hanno attualmente la più alta prevalenza di FCoV, seguite da Monza, ma non si conosce il modo in cui il virus si diffonda in altre zone, anche nel sud Italia e nell'area mediterranea.
Nel corso del 2023, un nuovo ceppo di coronavirus ha causato una strage di gatti nell'isola di Cipro. Le statistiche dei decessi a luglio erano contrastanti, con quasi 300.000 segnalati dalle associazioni e 8.000 dai servizi veterinari locali. Questo ceppo era riconducibile a un patogeno canino altamente virulento, chiamato pantropic canine coronavirus (pCCoV). La crisi ha attirato l'attenzione a livello internazionale. Gli animali colpiti presentavano sintomi come febbre, ventri gonfi e letargia, che indicavano la FIP, ma gli scienziati faticavano a spiegare l'apparente esplosione dei casi. Sebbene in passato siano stati segnalati incroci tra coronavirus canini e felini, questo è il primo caso documentato di un coronavirus felino che si combina con uno canino, ed è stata definita una tempesta perfetta di malattia e trasmissibilità.
È quindi necessaria una migliore comprensione dei coronavirus animali, della loro capacità di trasmissione e della condivisione delle informazioni genetiche, che possono facilitare lo sviluppo di nuove strategie di prevenzione, controllo e cura. (Fonte rete internet)
